This study proposes a first hypothesis of ambos catalogue, often fragmented or recomposed, made between the seventh and twelfth centuries in North-Western Italy, more or less well known, but never presented as a whole and compared with each other. It is an useful repertoire for future critical studies that take in consideration only one of them or that want to highlight the peculiarities of this liturgical artefact in comparison with those of other areas, for which a repertoire sometimes exists. the artifacts are presented in chronological succession, based on the updated critical debate concerning them, and are accompanied by technical and iconographic data. At the end of the two main sections of the essay, the one relating to the early medieval ambos and the one relating to the romanesque ambos, these are compared to evaluate recurrences, differences and transformations of form, material, origin, location and iconography. beside the most famous testimonies of this liturgical furniture, such as the triangular slab with peacock of San Salvatore in brescia or the ambo of Sant’Ambrogio in Milan, there are others less known, such as the convex slab of San Pancrazio in Montichiari or the masonry ambo of San Vincenzo in Galliano.
Il presente studio propone una prima ipotesi di catalogo di amboni, spesso frammentati o ricomposti, realizzati tra il VII e il XII secolo nell’Italia nord-occidentale, più o meno noti, ma mai presentati nel loro insieme e confrontati tra loro. Si tratta di un repertorio utile per studi critici futuri che prendano in considerazione uno solo di essi o che vogliano evidenziare le peculiarità di questo manufatto liturgico a confronto con quelli di altre aree, per le quali talvolta un repertorio già esiste. Gli amboni sono presentati in successione cronologica, sulla base del dibattito critico aggiornato che li riguarda, e sono corredati da dati tecnici e iconografici. Al termine delle due sezioni principali del saggio, quella relativa agli amboni altomedievali e quella relativa agli amboni romanici, questi sono messi a confronto per valutare ricorrenze, differenze e trasformazioni di forma, materiale, provenienza, collocazione e iconografia. Accanto ai testimoni più noti di questo arredo liturgico, come la lastra triangolare con pavone di San Salvatore a Brescia o l’ambone di Sant’Ambrogio a Milano, ve ne sono altri meno conosciuti, come la lastra convessa di San Pancrazio a Montichiari o l’ambone in muratura di San Vincenzo in Galliano.
Thanks to the linking that connect art patronage and political communication in building and decorating of the civil late Medieval architectures, aim of this paper is the understanding of 14th century painting in Mantua territory in its specific historical and geographical context, with particular regard to decorative cycles located in fortified complexes. the relationship is faced through considering two contexts that emerge both because of their artistic value and their monumental relevance: Castel d’Ario and Villimpenta castles. In this framework provided by the historiographical and archaeological topic named secondo incastellamento, the analysis offers the chance to deepen the role of architectures in the socio-political communication and self-representation by the secular élites in the 14th century Mantua territory. the two case studies also offer the opportunity to build a dialogue between the disciplines of the Medieval art history and Medieval archaeology in the field of historical architectures analysis, building a bridge between different perspectives by means of the same interpretive key.
Grazie ai nessi che uniscono mecenatismo artistico e comunicazione politica nella costruzione e decorazione delle architetture civili tardo medievali, lo scopo del presente contributo è la comprensione della pittura del Trecento nel territorio mantovano nel suo specifico contesto storico e geografico, con particolare riguardo ai cicli decorativi situati in complessi fortificati. Il rapporto viene affrontato considerando due contesti che emergono sia per il loro valore artistico che per la loro rilevanza monumentale: i castelli di Castel d’Ario e Villimpenta. In questo quadro fornito dal tema storiografico e archeologico denominato secondo incastellamento, l’analisi offre l’occasione di approfondire il ruolo delle architetture nella comunicazione socio-politica e nell’autorappresentazione delle élite secolari nel territorio mantovano del XIV secolo. I due casi di studio offrono anche l’opportunità di costruire un dialogo tra le discipline della storia dell’arte e dell’archeologia medievali nel campo dell’analisi delle architetture, costruendo un ponte tra diverse prospettive attraverso la stessa chiave interpretativa.
An unpublished relief from a private collection depicting the Madonna Enthroned with Child is attributed here to the workshop of the Master of the Loggia degli Osii, active between Milan, bergamo, Como and rovereto (trento) in the first decades of the 14th century. the author suggests that the sculpture was originally part of an otherwise unknown funerary monument, probably arranged as that of Aldrighetto Castelbarco (died in 1328). the relief gives the occasion to discuss the problem of the Master’s atelier: no certain data is available about this context – just as the identity of the sculptor remains unknown – but the relief presented here allows to better specify the personality of this master and to analyze the functioning of his workshop.
Un rilievo inedito proveniente da una collezione privata raffigurante la Madonna in trono con il Bambino è qui attribuito alla bottega del Maestro della Loggia degli Osii, attivo tra Milano, Bergamo, Como e Rovereto (Trento) nei primi decenni del XIV secolo. L’autrice suggerisce che la scultura facesse originariamente parte di un monumento funebre altrimenti sconosciuto, probabilmente sistemato come quello di Aldrighetto Castelbarco (morto nel 1328). Il rilievo offre l’occasione per discutere il problema dell’atelier del Maestro: una realtà su cui non si hanno dati certi – così come resta ignota l’identità dello scultore – ma su cui è possibile, anche alla luce di questo nuovo rilievo, avanzare alcune osservazioni di carattere strutturale.
This article discusses a hitherto unpublished fresco from the Benedictine women’s monastery of Santa Maria Teodote in Pavia. The nunnery, of Lombard origin, was extensively renovated in the last uarter of the 15th century, as it joined the Cassinese Congregation (Congregation of Santa Giustina in Padua, one of the major 15th century reform movements among Benedictines in Europe). In addition to other works, including the famous oratory of San Salvatore completely frescoed in the early 16th century, a refectory was built in which an Assumption/Coronation of the Virgin was painted. This latter fresco, which came to light in 2018, shows an iconography that is very similar to paintings created by artists working for the male and female Franciscan Observance in Lombardy. This paper, besides rising the question of the commission of such a fresco, whose location in a refectory is highly atypical, presents comparisons with artistic choices made in other Benedictine women’s monasteries in Pavia and Lombardy during the same period: the nuns of Santa Maria Teodote were probably the commissioners of works characterised by originality and great modernity.
Il presente contributo presenta un inedito affresco recentemente portato alla luce nell’ex monastero femminile di Santa Maria Teodote in Pavia. Il convento, di origine longobarda, fu ampiamente ristrutturato nell’ultimo quarto del XV secolo, quando entrò a far parte della Congregazione Cassinese (Congregazione di Santa Giustina in Padova, sorta in seno ad uno dei maggiori movimenti quattrocenteschi della riforma benedettina in Europa). Accanto ad altre opere – tra cui il famoso oratorio di San Salvatore completamente affrescato all’inizio del XVI secolo – fu costruito un refettorio in cui venne dipinta un’Assunzione/Incoronazione della Vergine. Quest’ultimo affresco, riemerso nel 2018, mostra un’iconografia molto simile a quella dei dipinti realizzati da artisti operanti per l’Osservanza francescana maschile e femminile in Lombardia. Il presente lavoro, oltre a sollevare la questione della commissione di tale affresco, la cui collocazione in un refettorio è altamente atipica, presenta confronti con scelte artistiche effettuate in altri monasteri benedettini femminili pavesi e lombardi nel medesimo torno d’anni: le monache di Santa Maria Teodote furono probabilmente committenti di opere caratterizzate da profonda originalità e riferimenti alla ‘moda’.
The well-known members of the Dattaro family (also called Pizzafuoco) worked in Cremona as architects since the first half of the Sixteenth century. Dattaro family architectural production in Cremona and Giuseppe activities in Mantua (1595-1590) have already been studied; little attention was instead paid to Giuseppe architectural tasks prior to his arrival at Vincenzo I Gonzaga court. recent archival researches have highlighted contacts between Giuseppe and brescia starting from the Seventies of the Sixteenth century; Giuseppe’s letters and drawings were found in Gambara family archives. Gambara are a feudal lords family with extensive properties in the areas between brescia and Cremona; their careful marriage policy made them one of the most important and powerful families of Venetian mainland territories. the letters that Giuseppe wrote to Nicolò Gambara describe his stays in Pomponesco, Maleo, Sabbioneta, up to Casale Monferrato; these documents provide interesting information about his professional background before arriving in Mantua. Nicolò also involved Giuseppe in some bresciaarchitectural projects, first of all the design of Pontevico church. Pizzafuoco’s Mantuan years are also discussed with short notes from the rich Gonzaga archive. the paper aims at updating the biography of the architect, recognizing the importance of Gambara family patronage and, in general, the role of brescia in the architectural context of the Northern part of Italy during the second half of the Sixteenth century.
I Dattaro, detti anche Pizzafuoco, sono una nota famiglia di architetti cremonesi attiva dalla prima metà del Cinquecento. Ricerche pregresse hanno ben evidenziato il loro contributo nella città natia per poi discutere degli affidi conseguenti al ruolo di prefetto delle fabbriche assunto da Giuseppe (1590-1595) presso la corte mantovana di Vicenzo I. Meno attenzione è stata invece rivolta al periodo precedente l’ottenimento di tale incarico, anni nei quali, le indagini archivistiche qui presentate, evidenziano un rapporto diretto di Giuseppe con il bresciano e in particolare con i nobili Gambara. Signori delle terre di confine con il cremonese, i Gambara, grazie a un’accorta politica matrimoniale e un indiscusso potere economico, coinvolgono il Dattaro in diversi cantieri, primo fra tutti quello della chiesa di Pontevico e, al contempo, lo introducono presso le corti dei rami cadetti dei Gonzaga. Il percorso di crescita professionale dell’architetto viene a delinearsi attraverso i resoconti fatti a Nicolò Gambara e la documentazione grafica prodotta. Sono dunque gli incarichi a Pomponesco, a Maleo, a Sabbioneta e, infine, a Casale Monferrato che conducono il Pizzafuoco a Mantova, il cui compito presso la corte viene discusso con brevi note dal ricco archivio gonzaghesco. Il quadro proposto, oltre ad aggiornare la biografia dell’architetto, vuole sottolineare l’importanza assunta da Brescia nella veicolazione del gusto artistico e architettonico della seconda metà del Cinquecento in area Padana, facendo emergere il mecenatismo della famiglia Gambara.
Antonio Lupis was an Apulian clergyman and writer who lived in bergamo in the last three decades of the seventeenth century. Several of his books, like Il Plico (1675), Il dispaccio di Mercurio (1681), La segretaria morale (1687) and Pallade su le poste (1691), deal with artistic themes and give us interesting information about the painters and sculptors of that time. Some of his texts about bergamasque art have been already analysed: for example, a eulogy of Evaristo baschenis, a description of the Crossing of the Red Sea by Luca Giordano in Santa Maria Maggiore and the letters sent to Andrea Fantoni. In addition to these, the article examines unknown or little-known pages. An interesting letter sent to Luca Giordano, which has never been considered until now, documents the direct relationship between Lupis and the Neapolitan painter, while other letters concern Antonio Zanchi. Furthermore, in Lupis’ books we find precious information about the long bergamasque stay of the Florentine artist Bartolomeo Bianchini.
Antonio Lupis è stato un ecclesiastico e scrittore pugliese vissuto a Bergamo nell’ultimo trentennio del XVII secolo. Molti dei suoi libri, come Il Plico (1675), Il dispaccio di Mercurio (1681), La segretaria morale (1687) e Pallade su le poste (1691), trattano temi artistici e ci offrono interessanti informazioni sui pittori e gli scultori di quell’epoca. Alcuni dei suoi testi sull’arte bergamasca sono già stati analizzati: è il caso, ad esempio, di un elogio di Evaristo Baschenis, di una descrizione della Traversata del Mar Rosso di Luca Giordano in Santa Maria Maggiore e delle lettere inviate ad Andrea Fantoni. Oltre ad essi, l’articolo esamina alcune pagine sconosciute o poco note. Un’interessante lettera inviata a Luca Giordano, finora mai presa in considerazione, testimonia il rapporto diretto tra Lupis e il pittore napoletano, mentre altre lettere riguardano Antonio Zanchi. Nei libri di Lupis, inoltre, troviamo preziose informazioni sul lungo soggiorno bergamasco dell’artista fiorentino Bartolomeo Bianchini.
Giuseppe Nuvolone’s mythological paintings shed new light on the painter’s relationship with the brescia cultural setting in the last years of the 16th century, expecially with Fortunato Vinaccesi, man of letters and scientist, and the scholar Giulio Antonio Averoldi. the article specify a singular and unpublished correspondence between iconography and philology research and literary productions, in the height of the Lombard baroque. these correspondences have to be read in scientific perspectives and new concepts of the universe, where myths are interpreted in the name of science, especially towards astronomy, which has become an essential part of the new world view. In addition, the new course of research in the reinterpretation of mythology and above all the parallel astronomical explorations, open to an unprecedented “love discourse”, in accord to the prolific season of melodrama to the point of presenting synaesthesia with the inventions of librettists and musicians.
Alcuni dipinti mitologici di Giuseppe Nuvolone gettano nuova luce sul rapporto del pittore con l’ambiente culturale bresciano degli ultimi anni del Seicento, in particolare con Fortunato Vinaccesi, letterato e scienziato, e con l’erudito Giulio Antonio Averoldi. L’articolo precisa una singolare e inedita corrispondenza tra ricerche iconografiche e filologiche e produzioni letterarie, nel pieno del Barocco lombardo. Queste corrispondenze vanno lette in prospettiva scientifica e secondo nuove concezioni dell’universo, dove i miti vengono interpretati all’insegna della scienza, soprattutto dell’astronomia, divenuta parte essenziale della nuova visione del mondo. Inoltre, il nuovo corso delle ricerche nella rilettura della mitologia e soprattutto nelle parallele esplorazioni astronomiche, aperte a un inedito “discorso amoroso”, si mostrano in sintonia con la feconda stagione del melodramma al punto da presentare sinestesie con le invenzioni di librettisti e musicisti.
The discovery of the inventory of Matteo Forieri’s legacy suggested an in-depth study of the family’s collecting passions: paintings (in particular by Filippo Abbiati) and, in the case of Matteo’s son Giovanni, also coins, cameos and drawings. The authors has been transcribed and commented a Giovanni’s manuscript (Milan, Biblioteca Ambrosiana) text on an imaginary gallery, which includes paintings and presumably drawings depicting subjects of ancient and Biblical history, according to a chronological narrative path. The iconographic choices derive from an erudite culture, not unusual for the times, but expressed in completely original ways.
Il ritrovamento dell’inventario del lascito di Matteo Forieri ha indotto un approfondimento sulle passioni collezionistiche della famiglia: dipinti (in particolare di Filippo Abbiati) e, nel caso del figlio di Matteo, Giovanni, anche monete, cammei e disegni. Gli autori hanno trascritto e commentato un testo manoscritto di Giovanni (Milano, Biblioteca Ambrosiana) relativo alla sua immaginaria galeria, che comprende dipinti e presumibilmente disegni raffiguranti soggetti della storia antica e biblica, secondo un percorso narrativo cronologico. Le scelte iconografiche derivano da una cultura erudita, non insolita per i tempi, ma espressa in modi del tutto originali.
The article starts with the attribution to Ottavio Semino of a painting preserved in the church of San Martino at Greco, in the north-eastern suburbs of Milan. the ne w acquisition of the Ligurian painter ’s catalog offers an opportunity to reconsider the most important works he undertook during his long stay in Lombardy, since the decorations of Palazzo Marino, a crucial junction f or Milan in mid-16th century on which an adequate study is still lacking. In the same church of San Martino at Greco there is also a painting probably by a f ollower of bernardino Campi from the master’s models. Hence a reflection, starting from the known testimonies, on the practice of reusing bernardino’s drawings in his workshop, one of the most active and important in the Milan area in the late 16th century. the ‘digressions’ of the title include two little or no-known paintings by Gerolamo Ciocca, a prolific pupil of Giovanni Paolo Lomazzo whose catalog is being reconstructed.
L’articolo si apre con l’attribuzione a Ottavio Semino di un dipinto conservato nella chiesa di San Martino al Greco, nella periferia nord-orientale di Milano. La nuova acquisizione al catalogo del pittore ligure offre l’occasione per una riconsiderazione delle opere più importanti da lui realizzate durante il suo lungo soggiorno lombardo, a partire dalle decorazioni di Palazzo Marino, un cantiere cruciale per la Milano di metà Cinquecento su cui ancora manca uno studio adeguato. Nella stessa chiesa di San Martino al Greco si conserva anche un dipinto realizzato probabilmente da un seguace di Bernardino Campi su modelli del maestro. Da qui si offre una riflessione, a partire dalle testimonianze note, sulla pratica di riutilizzo di cartoni e disegni di Bernardino all’interno della sua bottega, tra le più attive e importanti in area milanese alla fine del Cinquecento. Tra le ‘divagazioni’ del titolo figurano due dipinti poco o meno conosciuti di Gerolamo Ciocca, prolifico allievo di Giovanni Paolo Lomazzo di cui è in corso la ricostruzione del catalogo.
The monumental statue of St. Matthias is located on the north side of the Milan Cathedral. the sculpture was carved between 1810 and 1811 by the bolognese artist Giacomo De Maria. this is one of the interventions for completion of the Duomo, sponsored and encouraged by Napoleon. In order to complete such a huge project the patrons had to employ also artists from other Italian Academies of Fine Arts, like De Maria, who was also regularly taking part to the local fine arts exhibitions. the discovery of accounting documents and letters made it possible to reconstruct the story of the commission from the terracotta maquette to the plaster model of reduced size, up to the finished statue. In the background, the Milan of this period where the artist lived and worked for almost a year, intertwining his life with those of his pupils Luigi Manfredini and Giovanni Putti, who were engaged in the decoration of the Arco del Sempione at the same time. De Maria’s candidacy was strongly supported by Camillo Pacetti, professor of sculpture at the brera Academy.
La statua monumentale di San Mattia si trova sul lato nord del Duomo di Milano. L’opera fu realizzata tra il 1810 e il 1811 dallo scultore bolognese Giacomo De Maria. Si tratta di uno degli interventi di completamento del Duomo, patrocinati e incoraggiati da Napoleone. Per portare a termine un progetto così vasto i committenti dovettero avvalersi anche di artisti provenienti da altre accademie di belle arti italiane, come De Maria, peraltro regolarmente presente alle mostre di belle arti locali. Il ritrovamento di documenti contabili e lettere ha permesso di ricostruire la vicenda della commissione dalla maquette in terracotta al modello in gesso di dimensioni ridotte, fino alla statua finita. Sullo sfondo la Milano di questo periodo, dove l’artista visse e lavorò per quasi un anno, intrecciando la sua vita con quella dei suoi allievi Luigi Manfredini e Giovanni Putti, impegnati contemporaneamente nella decorazione dell’Arco del Sempione. La candidatura di De Maria fu fortemente sostenuta da Camillo Pacetti, docente di scultura all’Accademia di Brera.
Luigi Secchi (1853-1921) was one of the most important artists between the 19th and 20th centuries in Milan. During his forty-year career, the sculptor, after the training that took place at the brera cademy and in the private studies of the masters of the Scuola di Milano, specialized in public monuments. His friend Luca beltrami played a fundamental role in promoting Secchi to public and private clients, involving him in many projects assigned to him. the artist quickly established himself as an excellent portraitist for his executive skills, the innate ability to grasp and faithfully represent the essential characters of the people with few strokes, both in official monuments and in commemorative portraits. Another line of work cultivated by Secchi was the study of the female figure, presented in plaster, marble and bronze. these sculptures reveal his fascination for the subject, interpreted in Symbolist style. Like many of his colleagues, Secchi worked for the Monumental Cemetery in Milan: in three decades he carried out thirteen works, two of which no longer exist. Nine funeral monuments (to which two medallions in the Famedio are added) representative of the two peculiar characteristics of the sculptor – impeccable portraiture and a preference for female subjects – are analyzed here for the first time, also with reference to some plaster models preserved in the Gallery of Modern Art of Milan.
Luigi Secchi (1853-1921) fu uno degli artisti più importanti a Milano tra Ottocento e Novecento. Nel corso della sua quarantennale carriera, lo scultore, dopo la formazione avvenuta presso l’Accademia di Brera e negli studi privati dei maestri della Scuola di Milano, si specializzò nella realizzazione di monumenti pubblici. L’amico Luca Beltrami svolse un ruolo fondamentale nel promuovere Secchi presso committenze pubbliche e private, coinvolgendolo in numerosi progetti a lui affidati. L’artista si affermò presto come abile ritrattista per le sue doti esecutive, l’innata capacità di cogliere e rappresentare fedelmente con pochi tratti i caratteri essenziali dei personaggi, sia nei monumenti ufficiali sia nei più intimi ritratti commemorativi. Altro filone di lavoro coltivato da Secchi fu lo studio della figura femminile, rappresentata in gessi, marmi e bronzi. Queste sculture rivelano la sua fascinazione per il soggetto, interpretato in stile simbolista. Come molti suoi colleghi, Secchi lavorò per il Cimitero Monumentale di Milano: in tre decenni realizzò tredici opere, due delle quali non più esistenti. Nove monumenti funebri (a cui si aggiungono due medaglioni del Famedio), rappresentativi di entrambi i linguaggi praticati dall’artista – l’impeccabile ritrattistica e la predilezione per i soggetti femminili –, vengono qui analizzati per la prima volta, anche con riferimento ad alcuni modelli in gesso conservati alla Galleria d’Arte Moderna di Milano.
A terracotta tile by Elia della Marra, depicting a Madonna and Child preserved at Corte Le Pezze (Castel d’Ario), contributes to enrich his catalog and his presence in the Mantuan territory. the sculptor renews the throne in a renaissance and antiquarian style, denouncing the knowledge and use of renaissance characters, with particular references to Andrea Mantegna. Moreover, because of the identified comparisons, it is possible to date the sculpture at the end of the sixties of the 15th century. the site where the sculpture was found is also briefly described. the position in which it is currently located is certainly not the original one, therefore the possibility remains open that the tile had not been commissioned for Corte Le Pezze.
Una formella in terracotta di Elia della Marra, raffigurante una Madonna con Bambino conservata a Corte Le Pezze (Castel d’Ario), contribuisce ad arricchire il suo catalogo e la sua presenza nel territorio mantovano. Il plasticatore sembra innovare in chiave rinascimentale e antiquaria il trono della formella, denunciando la conoscenza e l’uso di temi rinascimentali, con particolare riferimento ad Andrea Mantegna. Inoltre, grazie ai confronti individuati, è possibile datare la scultura alla fine degli anni Sessanta del XV secolo. Viene inoltre brevemente descritto il sito in cui è stata ritrovata la scultura. La posizione in cui è attualmente collocata non è certamente quella originaria, pertanto, resta aperta la possibilità che la formella non fosse stata commissionata per Corte Le Pezze.
The unpublished Saint Anthony of Padua with the Infant Jesus preserved in the oratory of the confreres adjacent to the parish church of Gerola Alta (Sondrio) updates the catalog of the Veronese painter Antonio Giarola called Cavalier Coppa with a late work, the only known with both the signature and the date (1659). Among the rare fixed points to reconstruct the artist’s career, it is placed in the most advanced phase of his path, when he works within the confines of the Emilian classicist culture learned thanks to a period of study spent in bologna (1621-1624 circa). the presence in Valtellina of a painting by Cavalier Coppa is probably due to the phenomenon of emigrants’ remittances; it would therefore be a donation to his church of origin of some inhabitant of Gerola who emigrated to Verona.
L’inedito Sant’Antonio di Padova con il Bambino Gesù, conservato nell’oratorio dei confratelli attiguo alla chiesa parrocchiale di Gerola Alta (Sondrio), aggiorna il catalogo del pittore veronese Antonio Giarola detto il Cavalier Coppa con un’opera tarda, l’unica conosciuta che presenta sia la firma sia la data (1659). Tra i rari punti fermi per ricostruire la carriera dell’artista, essa si colloca nella fase più avanzata del suo percorso, quando opera entro i confini della cultura classicista emiliana appresa grazie ad un periodo di studi trascorso a Bologna (1621-1624 circa). La presenza in Valtellina di un dipinto del Cavalier Coppa è probabilmente dovuta al fenomeno delle rimesse degli emigranti; si tratterebbe quindi di una donazione alla sua chiesa d’origine di qualche gerolese emigrato a Verona.