The essay focuses on the decisive role Filarete had in defining a new
relationship between clients and architects, downsizing the cliché that
traditionally depicts him as a dull compiler with some foolish literary
ambition. In his Book he sets up a confrontation which – going beyond
his time’s customs and even social habits – retrieves and enlivens some
crucial elements of Greek – and mainly Platonic – tradition, such as the
faith in face-to-face dialogue between the cultured man and his
interlocutor. On that matter, Filarete constitutes a genuine alternative to
Alberti, as he prefigures the outcome of European Mannerism and
seemingly reaches the point of political Utopia, although he never pulls
back from his time’s status quo: the architect is not just meant to be the
actual performer of a sovereign will. Instead, he will have an active role
in political life, taking part in the decisions that define the future of
society.
A un’indagine di tipo letterario, il Libro architettonico di Filarete si rivela
come una stratificata interrelazione tra elementi narrativi e discussioni
teoriche, che creano un complesso sistema di cornici nello spazio grafico
multidimensionale e fortemente dinamico di quest’opera inusuale.
In senso tanto letterale quanto figurativo, Filarete incornicia la sua teoria
dell’architettura scrivendo e disegnando insieme, all’interno del contesto
narrativo di un dialogo a corte nel quale egli interpreta i ruoli sia dell’autore
sia del personaggio protagonista, l’architetto della città ideale di
Sforzinda da erigersi per la nuova dinastia degli Sforza.
Cinque principali cornici narrative – la dedica, l’occasione conviviale del
dialogo, la progettazione e l’edificazione di Sforzinda, la costruzione della
città portuale e il ritrovamento del Libro d’oro – strutturano il Libro e
tradiscono i sistemi di valore sociali e culturali all’interno dei quali l’opera
deve essere letta per essere pienamente apprezzata. Gli edifici di Sforzinda
vengono discussi nel dialogo e nello stesso tempo sono disegnati
sui margini che incorniciano il testo del Libro quale oggetto materiale. La
cornice letteraria dialogica del trattato è così letteralmente collocata entro
una cornice grafica che, oltre ad avere una funzione ornamentale retorica,
inquadra all’interno di una pratica architettonica la discussione
teorica veicolata dalla narrazione e dal dialogo.
Nell’Architettonico libro il rapporto tra parola e immagine dà vita a un
prodotto eterogeneo, inusuale anche se si ricollega alla tradizione dei
trattati d’architettura. Le immagini ‘ibride’ qui esaminate permettono di
esplorare come funziona il programma visivo-verbale con cui Filarete comunica
le sue idee architettoniche a uno specifico pubblico.
Il Libro si rivela come un mezzo di persuasione, un discorso intrecciato di
argomentazioni verbali e visive a sostegno di una scelta architettonica classicizzante.
Gli elementi formali e discorsivi (come la forma dialogica e la
connotazione da speculum principum) cooperano con gli espedienti retorici
visivo-verbali alla creazione di un testo deittico, endoforico; le illustrazioni
permettono al lettore/ascoltatore di sperimentare e comprendere le
idee di Filarete sull’architettura e la società, idee in parte di sua invenzione,
in parte legate alle teorie e alle pratiche del Quattrocento italiano.
Una lettura contestualizzata dei trattati rinascimentali italiani sottrae la
loro varietà a un’astratta idea di norma. Esaminando le opere di Filarete e
Alberti, risulta chiaro che l’identità autoriale e il pubblico di riferimento
inducono i due architetti a creare opere che soddisfino specifici bisogni.
Per entrambi i teorici, infatti, le scelte formali e discorsive sono legate al
pubblico cui intendono rivolgersi; e per Filarete, esse sono legate anche
alla sua forte fiducia nella connessione tra vedere e intendere.
Il concetto di disegno presentato nei libri XXII-XXIV dell’Architettonico libro
va messo in relazione con la critica d’arte e con le pratiche artistiche
del tempo. Contro l’opinione storiografica corrente, che considera la nozione
filaretiana di disegno come un derivato delle teorie dell’Alberti, una più
attenta lettura rivela differenze sostanziali, quasi simboleggiate dalle critiche
rivolte a Donatello, uno dei tre paladini albertiani del Rinascimento.
Rilevare le differenze fra i due autori è utile anche a meglio intendere la nozione
di disegno nell’Alberti e le complesse dinamiche che nel Quattrocento
portarono a una nuova idea di disegno, cruciale nel processo di nobilitazione
delle arti figurative e degli artisti. Pur mancando di una precisa formulazione
teorica, la discussione che Filarete presenta sul finire del libro e
il suo frequente uso del termine (non meno di 599 volte, contando i derivati)
evidenziano come ormai quello di disegno non fosse più un concetto legato
al mondo dei taccuini e della bottega artistica tradizionale. Divenuto un termine polivalente oltre che una nozione operativa, l’idea di disegno pertiene
ora anche al mondo della corte, promotrice del nuovo ruolo che il ragionare
per immagini acquista nella cultura rinascimentale, centrale nello sviluppo
del discorso sull’arte e nella nuova interazione tra committenti e artisti.
Il Libro del Filarete include una descrizione del territorio circostante le
città di Sforzinda e Plusiapolis. La narrazione, nonostante le sue caratteristiche
fantastiche, getta luce sulle relazioni tra signore e abitanti, e riflette
i modi del consenso politico nelle città stesse. Il saggio esplora come
la narrazione definisca la presenza del signore fuori dalle città e il
ruolo chiave dell’architetto nell’assicurare l’armonia tra il sovrano e i suoi
sudditi. Presta poi particolare attenzione all’idea di inevitabilità storica
proposta dal testo tanto nella profezia della costruzione di Plusiapolis
quanto rispetto alla conclusiva unificazione del territorio dello stato.
Questa fantasia fortemente ‘intenzionale’ a sua volta riflette molta della
effettiva politica di Francesco Sforza per quanto riguarda sia il suo programma
architettonico sia le sue ambizioni territoriali.
Nel suo Libro, Filarete giustappone due sfere della realtà. Entrambe possono
essere considerate anche ideali, ma in modi differenti.
La costruzione idealizzata della moderna città di Sforzinda è contrapposta
al resoconto dell’estinta — e presuntamente classica — città di
Plusiapoli, il cui carattere è in realtà interamente utopico. Sforzinda
riflette invece le condizioni reali della società e della struttura urbanistica
di Milano. L’idealizzazione della città è debitrice di generi letterari
come i panegirici cittadini e gli specula principum, ma Filarete non
dimentica mai il dato reale e i concreti problemi della scienza urbanistica,
come a volte fa l’Alberti nel De re aedificatoria. Nella descrizione di
Plusiapoli egli insiste nell’esposizione di importanti e concreti dispositivi
sociali, per esempio quelli riguardanti il sistema carcerario e la scuola. La
discussione di Filarete su questi problemi, tuttavia, si allontana da altri
testi che esaminano tali istituzioni, come l’Utopia di Tommaso Moro.
Nonostante le differenze di fondo tra Sforzinda e Plusiapoli, le due città
testimoniano un peculiare spirito utilitaristico e pragmatico, nel mentre si
iscrivono in una visione eroica del mondo antico, tenuto in una cosiderazione
così alta da far sembrare impossibile che un tale livello di civiltà potesse
più essere raggiunto, ciò che rende le idee rinascimentali sull’Antichità
qualcosa di assimilabile alla nostra fantascienza. Nel creare Sforzinda,
Filarete attinge a elementi dell’antica Roma, mentre per Plusiapoli prende a
prestito caratteristiche di altre grandi tradizioni culturali, quali Babilonia e
l’Egitto, usando come fonte la Biblioteca storica di Diodoro Siculo.
L’Atlantide di Platone, invece, benché celebrata da molti filosofi, resta un
riferimento secondario per Filarete. In generale, gli umanisti traggono spunto
dai modelli concreti offerti dagli storici molto più che dalle speculazioni
astratte: per illustrare le sue idee, anche Filarete crea Sforzinda e Plusiapoli
ispirandosi a tali modelli concreti, attinti dalla storia.
Although the ground-plan of Filarete’s ideal city of Sforzinda – two
regular interlocking squares enclosed by a circle – is one of the most
frequently reproduced quattrocento book illustrations, an adequate
interpretation has not yet been given.
A figure identical to Filarete’s plan is found in numerous older and
contemporary treatises that were accessible in the library of his patron,
Francesco Sforza. In these images the figure represents a geometrical
exposition of the cosmos, a diagram of universal order, the archetypal
idea of God the Creator; these resonances were purposefully invoked by
Filarete when he designed his ideal city. Abundant examples from
medieval and Renaissance Europe show that this figure was generally
understood as a depiction of the world, by artists and builders alike.
Further, in his text Filarete repeatedly emphasized macrocosmic
references, drawing a specific analogy between the founding of the city
and divine creation.
The implications of this argument are far reaching, and involve two
fundamental concerns of ‘Renaissance’ architects: their opinion as to the
nature of their profession and their own status, as well as what they, the
new, universally educated architects were claiming to achieve as the
effect of architecture. In other words, a full contextualization of
Filarete’s plan for Sforzinda reveals that, for the quattrocento architect,
a fundamental and lasting renewal of society was possible only through
the renewal of the built environment; this built renaissance is both the
first prerequisite and the continuing condition for all improvements, on
the human and societal level.
Books play a central role for Filarete and his Libro architettonico. In the
course of the fictional story, a Libro di Bronzo and a Libro d’Oro are
mentioned several times, which can be regarded as self-reflexive
commentaries on Filarete and the act of writing his text. The Libro di
Bronzo is used as a symbol for Filarete’s artistic virtue. In this context,
the famous statue of Virtue on top of the House of Virtue and Vice is
reinterpreted as a goal for the three social estates consisting of the men
of arms, men of letters, and artisans. In addition, it becomes a hidden
symbol for Francesco Sforza. By contrast, the Libro d’Oro, with the
allegory of a woman in a vase and two small children on the binding –
which can be interpreted as Memory, Genius and Intellect – suggests the
topic of the process of artistic thinking against the background of divine
creation and the concept of man as an image of God. Overall, it becomes
clear that Filarete’s Libro architettonico owes a great deal not only to
antique sources, but also to the late medieval tradition of architectural
fiction. Filarete’s Libro thus cannot be understood exclusively in the
context of architectural treatises; rather, it also serves – in the guise of
a manual of architectural teaching and knowledge – as a manual of
statecraft and virtue, with an educational and exemplary function, and
as a draft of an ideal society.
Il ruolo di Plinio il Vecchio nel Libro architettonico non è mai stato appropriatamente
definito.
L’articolo suggerisce che il Filarete usa delle citazioni da testi antichi –
quasi tutte prese da Plinio – per ricostruire le relazioni dell’artista-mecenate
nell’antica Roma, un modello che egli auspica venga seguito dal
signore di Sforzinda e da suo figlio: il mecenate nell’antichità spendeva
grandi somme in palazzi meravigliosi grazie ai quali egli era immortalato
nella letteratura, mentre l’architetto, lo scultore e il pittore erano riconosciuti
e celebrati dal mecenate per la loro virtù.
Nel Libro architettonico Filarete progetta quattro chiese a pianta centrale
per la città ideale di Sforzinda, tutte riconducibili a una comune tipologia:
la figura di un quadrato in cui è inscritta una croce greca. In ordine
di trattazione le chiese sono: la cattedrale, la chiesa del Mercato, la
chiesa del monastero benedettino e la chiesa dell’Ospedale.
Fino ad ora si è ritenuto che questo ordine rispecchiasse la cronologia del
processo di progettazione. Una dettagliata analisi del testo e delle illustrazioni,
tuttavia, rivela che la chiesa dell’Ospedale fu in realtà la prima
della serie e che servì come modello per le altre costruzioni. Questo cambiamento
nella cronologia progettuale apre nuove questioni relativamente
alle fonti e alla pianta delle altre tre chiese. Una ricostruzione
della cattedrale di Sforzinda evidenzia le fonti usate dal Filarete per la
composizione dell’edificio, e dimostra il modo in cui egli le usa e le adatta
per i suoi scopi. Allo stesso modo sono presentate e riviste le ricostruzioni
della chiesa del Mercato e del monastero benedettino. Per concludere
vengono analizzate le implicazioni di questi temi nel più ampio contesto
dell’architettura rinascimentale.
The essay moves from a passage of book XVI of Filarete’s treatise on
architecture, where the author outlines the project for a church, ordered
by Duchess Bianca Maria Visconti for a monastery of the Hermits of St.
Jerome. In this very peculiar project by the Tuscan master, a single-nave,
vaulted building is flanked by lateral chapels, overtopped by an
accessible matroneum. The project has been connected by John R.
Spencer to the church of San Sigismondo in Cremona, founded in 1463.
The debate on a type of church that was perceived as abnormal in the
coeval Lombard milieu brought forth similar projects by Filarete in
Lombardy, such as the Cathedral (1457) and the San Gottardo dei Serviti
complex in Bergamo (1462), the latter being known thanks to a document published by Richard Schofield in 2002, but nonetheless
essentially ignored in recent studies on Filarete’s activity in Lombardy.
The identification of an architectural type described by Filarete in his
treatise – and perhaps attempted more than once during his stay in
Lombardy – suggests an oft-overlooked line of inquiry, which considers
architectural culture and possible influences, such as – in this case – the
Badia in Fiesole. Such inquiry – while asking for a wider consideration of
Filarete’s work in Lombardy – is crucial to the understanding both of the
culture he brought with him, and of its penetration and, in a few cases,
influence on Lombard architecture of the time.
The article focuses on a recent discovery regarding Ms. 114 from the
Library of the Academy of Sciences in St. Petersbourg. The codex contains
a Latin translation of Filarete’s treatise on architecture, drawn up
between 1488 and 1489 for Matthias Corvinus King of Hungary. Known
since 1960, in 2000 this valuable document was singled out as of
particular importance among the copies derived from the original Latin
version (now kept at the Marciana Library in Venice as Lat. VIII, 2 =
2796), mainly because – as inferred from several hints within the text –
it had been commissioned by a scholar from Padua deeply interested in
Alberti. Now, the attribution of the illustrations to Antonio Maria da
Villafora, an artist operating in Padua before 1511 – the year of his death
– allows us to identify the unknown patron as Pietro Barozzi, humanist
bishop of Padua between 1487 and 1507, and nephew of Giovanni
Barozzi, bishop of Bergamo, who in 1457 assigned Filarete to the project
for his town’s new cathedral.
Among the manuscripts of Pietro Mazzucchelli, ‘prefect’ of the
Ambrosiana from 1823 to 1829, is an unpublished dossier containing
materials related with Filarete’s treatise and the Latin version by Antonio
Bonfini. The dossier includes the transcription of excerpts from Filarete’s
text derived from the missing Trivulzianus codex, and is probably a draft
of the booklet kept in the archives of Ospedale Maggiore in Milan, and
known as Estratti del codice di Antonio Averulino… The selection of
passages from Filarete mainly relates to mentioned artists and the
project for the Spedale dei Poveri, as is understandable given the use of
the dossier and Mazzucchelli’s interest in erudite matters. Mazzucchelli
himself noted several passages of the transcription, especially the parts
regarding artists, in order to better identify them through his
bibliographic resources.
Also of great interest are the drawings copied directly from parts of the
Trivulzianus concerning the hospital, which give us a fundamental if
rough glimpse of the codex’s iconographic setting. The dossier also takes
into consideration the Latin version of the treatise and questions the
information found in Mountfaucon testifying the presence of a
manuscript of Bonfini’s translation in the Ambrosiana.